La domanda chiave a cui tengo particolarmente, che pongo per una conoscenza approfondita dei miei piccoli atleti, è: “Quando ti piace giocare?”.

Le risposte che ho ricevuto sono state molto varie: “Mi piacciono i giochi di movimento, preferisco giocare in gruppo”… Una risposta mi è sembrata interessante: “Mi piace un gioco quando mi diverto”.

Di rimbalzo ho subito domandato ai bambini quando si divertivano a giocare.

Alcuni hanno sottolineato che un gioco è divertente se tutti partecipano, senza nessuna esclusione.

È bello anche se gioca il bambino lento, poco coordinato e anche quello che fa fatica a rispettare la regola del gioco. Solitamente questi bambini hanno un’immagine negativa su di sé, ne soffrono, faticano a trovare uno spunto al cambiamento.

Riflettendo su questa realtà dei fatti la mia proposta formativa è quella di aiutare ad inventare e/o modificare dei giochi o degli sport per permettere a tutti di divertirsi, sperimentarsi, esultare. L’obiettivo è che tutti abbiano un ruolo attivo e si sentano protagonisti senza il timore di essere giudicati.

Anche gli alunni meno abili, più timidi, più scalmanati, i meno e più rispettosi delle regole, devono poter proporre liberamente le loro idee e avere la possibilità di sperimentarsi modificando le regole del gioco. Unica condizione: tutti devono giocare senza nessuna esclusione. In questo modo si sentono anche responsabili della buona riuscita del gioco.

Quando la proposta viene fatta ai bambini, viene sempre accettata con entusiasmo. Le idee che emergono sono sorprendenti. Tutti, seppure con modalità diverse, cercano di partecipare alla realizzazione di un gioco adatto a tutti. 

Questa modalità è sempre un successo e ogni volta ho la conferma che il gioco è per sua natura educante; attraverso di esso il soggetto impara a conoscere il mondo, a sperimentare il valore delle regole, a stare con gli altri, a gestire le proprie emozioni, a scoprire nuovi percorsi di autonomia e a sperimentare per tentativi e errori le convinzioni sulle cose e sugli altri.

Ma se il bambino sta sempre fermo perché viene eliminato per primo e sta 30 minuti senza giocare o si rifiuta di farlo perché non riesce a eseguire l’esercizio, cosa succede? Succede che il bambino verrà sempre scartato dagli altri e verrà visto come un perdente. I suoi compagni percepiranno solo un’immagine negativa e probabilmente verrà percepito così anche dagli adulti”

Bene se noi vogliamo dare un immagine vincente dei disabili dobbiamo cercare di cambiargli il contesto e se ce l’hanno fatta i bimbi…

dott. Tristano Redeghieri